LA UNIVERSIDAD DE SAN MARTÍN DE PORRES VOLVIÓ A GANAR PREMIOS GOURMAND.

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Cusco, El Imperio de la Cocina de Rosario Olivas Weston obtuvo el premio a Mejor Libro de Historia Culinaria del Mundo, Chicha Peruana, una bebida, una cultura compilado por Rafo León obtuvo el premio Mejor Libro de Historia de Bebidas, y el libro Peruvian Potato, History and Recipes de Sara Beatriz Guardia en segundo lugar como el Mejor Libro de Cocina Traducido.







- Edouard Cointreau, Sara Beatriz Guardia, Bo Masser.












- Edouard Cointreau entrega el premio a Mejor Editor de Libros de Gastronomía al Dr. Johan Leuridan Huys.
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SERGE LATOUCHE, GIGLIOLA BRAGA (ITALIA)

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Qualche giorno fa ho partecipato a un incontro con il francese Serge Latouche che non conoscevo e di cui distrattamente avevo sentito parlare in passato. E’ un sociologo, economista, filosofo, teorico della decrescita, termine a me fino a non molto tempo fa sconosciuto, ma che da subito, fin dall’invito ricevuto per l’incontro, ritengo interessante e sconcertante al tempo stesso. La mia curiosità di conoscere meglio il punto di vista di Latouche cresce nel corso della serata per la singolarità delle teorie che espone. Mi sembra addirittura che il mio respiro si fermi quando lui comincia a parlare con toni nuovi per me di “rallentare”, di “sopravvivere allo sviluppo”, di “sciagurata teologia del PIL”, della sua proposta per il ritorno a una naturalità che io sento profondamente e alla quale lui stava dando voce e corpo. Il suo motto? “Vivere con meno è facile e perfino divertente”. Un ritorno alla preistoria sociale ed economica? No, semplicemente un riappropriarsi della propria vita, quella vera, in contrapposizione all’economia globalizzata dello sviluppo che obbliga alla corsa, al consumismo, alle leggi di mercato, le quali impongono di produrre e di cambiare: l’auto, il telefonino, il televisore, il computer, anche se funzionano ancora benissimo. Altrimenti sei out, inadeguato. La sua idea è: “Ritroviamo il piacere della vita, prima dell’ansia di fare”. Non distogliamo l’attenzione dalle origini facendoci imbrigliare dal vortice dell’usa e getta, della superficialità e delle logiche di mercato distanti dalle reali necessità. Il suo obiettivo è “rallentare, offrire alternative per concentrarsi sulla qualità della vita”. La decrescita non vuol dire tornare all’età della pietra, ma solo a quarant’anni fa, quando è cominciata la frenetica e affannosa rincorsa al cosiddetto “benessere”. La decrescita non implica “stare peggio”, ma stimola alla riflessione, per valutare cosa sia realmente il benessere, in termini individuali, sociali ed economici.

Mi sembra di sentire nelle sue parole un’affinità per le leggi della natura che spesso io, nonostante tutto, rischio di dimenticare e prevaricare con la stessa superficialità che mi accomuna ai miei contemporanei, ma che non possono essere ignorate in nome del “progresso” o della presunta superiorità del genere umano sugli altri esseri viventi e sugli equilibri naturali. Sono estremamente convinta di questi principi che forse Latouche tratta solo marginalmente durante l’incontro, ma che mi vengono evocati dalle sue parole perché questi pensieri a volte mi assalgono nella frenesia del mio lavoro… Appunto!

Insomma, Latouche propone un nuovo modello sociale in cui gli sprechi vengono considerati tali e non semplicemente una caratteristica e una prerogativa del nostro tempo. E’ coerente con le sue teorie: mi dicono che si sposta solo in treno in giro per l’Europa; vive a Parigi e sui Pirenei, in una vecchia casa in pietra che lui stesso ha rimesso a posto; non drammatizza sulla sue ginocchia calcificate e sui piedi malandati che gli impongono il bastone: “E’ giusto così, con il passare degli anni…”. Non usa espressioni simboliche, unisce la sua esperienza al sano buon senso che oggi va svanendo, ma di cui molti probabilmente vorrebbero riappropriarsi.

Come molti abili comunicatori, a volte utilizza il cibo per trasmettere meglio alcuni concetti, in modo semplice e tranquillo, come lui stesso appare nella sua struttura robusta e asciutta. “Il 30% della carne dei supermercati si butta; usiamo acque che vengono da lontanissimo, nonostante ci siano buone sorgenti vicine; mangiamo frutti esotici e buttiamo quelli locali; mangiamo il triplo del necessario ”. E qui mi sento pienamente chiamata in causa. Penso infatti quanto lo stesso potere economico abbia influito sulle disponibilità alimentari, sul tipo di offerta, sulle nostre abitudini quotidiane e in definitiva sulla nostra salute. Abbiamo lo stesso bagaglio genetico dell’uomo preistorico e mangiamo in modo completamente diverso dal passato. L’evoluzione è un fenomeno troppo lento per essere già in linea con gli alimenti attuali. E questo comporta un costo, sia umano sia sociale, per gli squilibri che crea in un organismo, il quale si ritrova a dovere utilizzare fonti difformi ed estranee alle sue capacità. L’adattamento che sa sicuramente mettere in atto richiede tempi troppo lunghi per essere efficace nell’immediato. Si evidenziano così patologie oggi purtroppo in aumento.

La copiosa e allettante offerta di cibo nei Paesi cosiddetti industrializzati costituisce un ulteriore peggiorativo perché, in questo contesto generale, rischia di perdere e di far perdere di vista il reale ruolo biologico del cibo, il quale non è una manifestazione di potenza economica, come a volte sembra essere nei carrelli della spesa stracolmi, ma è una necessità imprescindibile dalla vita. Una piacevole necessità. Che senso ha comprare oltre il necessario, per confinare nel frigorifero ogni genere di cibo che poi si deve buttare perché inevitabilmente va a male?

I temi trattati da Latouche hanno questa lunghezza d’onda. Mi accomuna a lui un’idea: il vero sviluppo non è quello socio-economico che comunemente si intende, cioè l’ansia di avere. Il vero sviluppo è coltivare l’essere, cioè l’uomo. E’ la crescita di un mondo in sintonia con le sue leggi naturali, le quali sono da tenere in giusto conto, per non danneggiare il proprio futuro con scelte ottuse e fallimentari nel tempo. Si può parlare di vero sviluppo solo quando non si non rovina l’uomo, la società in cui vive e il mondo in cui si muove. Per esempio, che senso ha produrre grassi artificiali come gli idrogenati, utili all’industria per la preparazione di prodotti che devono mantenere a lungo la freschezza, ma dannosi all’uomo? Perché intensificare certe coltivazioni e preparazioni per immettere sul mercato globale quantità spropositate di vegetali e di prodotti che non rispecchiano più la reale necessità, la naturale e sacrosanta biodiversità, i ritmi stagionali, il gusto, la territorialità? Per lo sviluppo? Di cosa? Del PIL, dei conti in banca, dei poteri economici. Non certo dell’uomo.


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LE CARRÉ DES FEUILLANTS

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Dirigido por el prestigioso chef Alain Dutournier, Le Carre des Feuillants es uno de los mejores restaurantes de Francia, ubicado entre la Place Vendôme y el Jardín de las Tullerías. Alain Dutournier nos ofrece aquí una cocina de especialidades: Homard bleu en feuille de riz (otoño-invierno); Tendron de veau de lait dans son jus truffés (primavera-verano), y Ravioles de mangue aux fruits de la passion, entre otros, acompañados con una excelente carta de vinos. A pesar de estar en el centro de París (14,rue de Castiglione, 75001), al interior de Le Carre des Feuillants se respira la calma y armonía que el arquitecto y pintor Alberto Bali ha sabido impregnar en sus cuatro salas, con tonos suaves y elegantes. El gran salón está decorado con obras de Alechinsky y Titus Carmel que ha cubierto las columnas de acero. El diseño de las sillas, las mesas, aparadores, y por supuesto la vajilla es también de Bali. Un día antes de la celebración en París de los premios Gourmand World Cookbooks Awards, Edouard Cointreau, extraordinario anfitrión y presidente de la prestigiosa Gourmand invitó a un grupo de amigos a cenar en Le Carré, noche en la que nos deleitó con la magia del lugar y el exquisito sabor de la cocina francesa de Alan Dutournier.



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MOUMTON ROTHSCHILD, THE MUSEUM OF WINE IN ART

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Sandrine Herman
Julien Pascal
Photographs by Peter Knaup


Foreword by Philippe de Rothschild Extraordinarias obras de arte del Museo de Vino y Arte del Chateau Mouton Rothschild en Bordeaux conforman este libro de la belleza y el talento. Desde el período helenístico con su mascara de Dionisio que data del II siglo A.C., las preciosas miniaturas de jade incrustadas de rubíes y esmeraldas de la India, la cerámica china con sus quietos diseños, figuras en terracota del arte islámico y oriental, bronce, tapices, esculturas, vasos, copas, jarras, y otros utensilios nos hablan de siglos de arte coleccionados por más de 150 años por la familia Rothschild.























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"HAY UNA RELACION DIRECTA ENTRE COMER, BEBER YAMAR".

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"Hay una relación directa entre comer, beber y amar".
Nativel Preciado
Tiempo, 4 / 11 / 1996.
Manuel Vázquez Montalbán.


Manuel Vázquez Montalbán ha escrito un espléndido relato, La Gula, donde mezcla gastronomía, teología y marxismo a través del monólogo de un exquisito gourmet que naufraga en una isla desierta. Este robinson, que había sido obispo en El Vaticano, se ve obligado a inventar sus propias teorías gastronómicas, en las que adquiere un simbólico protagonismo el bacalao que Dios le envía. El bacalao, una momia conservada en salazón, puede convertirse, gracias al ingenio culinario, en un alimento prodigioso, como el maná caído del cielo. Vázquez Montalbán, que como se sabe es un gran aficionado a la gastronomía, propone una inteligente asociación de ideas entre guisar, comer, beber y amar. Y de eso trata otro de sus libros, Recetas inmorales, que acaba de publicar la editorial Afanias y cuyo objetivo es lograr fondos en beneficio de personas con deficiencia mental. En contra de lo que algunos puedan pensar, no hay contradicción entre la moral hedonista del autor de Un polaco en la corte del rey Juan Carlos y la generosidad solidaria que supone trabajar para una causa altruista.

—¿Qué le llevó a mezclar en el mismo guiso la cocina, la teología y el marxismo?
—Me pidieron un libro sobre la gula y se me ocurrió escribir el relato de un náufrago que era un obispo encargado de las finanzas de El Vaticano y, además, un exquisito gourmet. Lo he subtitulado Reflexión de un robinson ante un bacalao seco porque, para mí, el bacalao es un prodigio marxista. Cuando era joven, un grupo de marxistas organizamos un viaje de Madrid a Palencia en busca de un tipo al que habían visto con el libro de Sartre Tránsito de la cantidad a la cualidad. Queríamos ficharle para la organización. El caso es que, desde mi punto de vista, el bacalao ejemplariza ese tránsito de la cantidad a la cualidad. Un bacalao seco es como una momia, pero se mete en agua y se transforma en otra historia. Sólo a un genio se le ocurre remojar la momia, utilizar el agua del hervor, moverlo con un poco de aceite y ajos para convertirlo en bacalao al pil pil. De ahí sale todo un discurso teológico.

—¿Por qué ha titulado otro de sus libros "Recetas inmorales"?
—En cierta ocasión me dijo Dalí que con Greta Garbo sólo se podía comer lenguado a la plancha. Entonces me puse a pensar qué comería yo con determinadas mujeres. De ahí surgió la idea de asociar la erótica con la gastronomía. Así como existen las asociaciones de ideas, también se dan las asociaciones totalmente arbitrarias entre guisar, comer y amar.

—¿Y por qué esa combinación ha de ser inmoral?
—Todo lo que hace referencia al placer es gozosamente calificado de inmoral. Para los moralistas, sólo el sufrimiento es moral. En las religiones hay ayunos, cuaresmas y ramadanes. Estoy en contra de todas ellas -la católica, la islámica y la neoliberal- porque, al defender valores absolutos, acaban siendo totalitarias.

—¿Cree que las pasiones responden a la teoría de los vasos comunicantes?
—No se puede generalizar, pero hay un relación directa entre comer, beber y amar. Especialmente la bebida conduce a la cama porque desinhibe y los esfínteres se abren en función del ambiente. La cantidad de veces que he tenido éxito en esos territorios ha sido por lo favorable del clima; me he atrevido a hacer propuestas que sin esa situación gastronómico-etílica hubieran sido impensables.

—¿Existe la cocina afrodisiaca?
—Está demostrado que no existe la cocina afrodisiaca. Lo importante es que la ceremonia de compartir una comida se convierta en un acto afrodisiaco en sí mismo.

—¿La gula puede ser un placer solitario?
—Si es solitario, se convierte en un placer de lo más mediocre. El tío que se guisa un plato y se lo come solo es un onanista. La gula o es comunicación o no tiene ningún valor. La comunicación implica una apropiación porque siempre implica convencer a alguien y nunca el receptor es tan fuerte como el emisor. En el juego de propuestas de la sensualidad siempre hay uno que persuade y otro que es persuadido Ahí está la gracia del asunto. En toda propuesta sensorial hay una intención sexual.

—¿Se fía usted de la gente a la que no le gusta comer?
—No puedo generalizar. Antes yo era muy dogmático en este sentido, hasta que descubrí anoréxicos maravillosos.

—¿Hay alguna comida de la que no pueda prescindir?
—En el fondo, uno puede prescindir de todo. Sin embargo, en la vida de todo escritor hay un Rosebud como el de Ciudadano Kane. Recuerdo un día que estaba sentado en el portal de mi casa, frente a la panadería, y vi salir a mi madre con un pan caliente y un cucurucho de aceitunas negras. Me dio un trozo de aquel pan con aceitunas. Eran los años cuarenta. Asocio el placer con el pan caliente y las aceitunas negras; es mi Rosebud.



—¿Ha visitado todos los templos gastronómicos?
—No, me falta Robuchon. La primera vez que fui a Girardet estuve muy condicionado por mi carencia de francos suizos. Y es que cuando pedí el menú me dijeron que no admitían tarjetas de crédito. Tuve que pagar con los francos franceses que llevaba y me tuve que zampar un menú condicionado a esa moneda. La segunda visita la hice más liberado.

—¿Qué va a quedar de nuestra maravillosa cocina mediterránea después de Maastricht?
—Empecemos por aclarar una falsificación: dicen que la dieta mediterránea se basa en el aceite de oliva y eso es mentira. En buena parte de la cocina catalana y valenciana se emplea la manteca de cerdo. Reivindicar una cultura alternativa en torno al aceite de oliva es puro voluntarismo. Respecto a Maastricht, si es una imposición de los eurócratas, no debemos preocuparnos porque gracias a las tarjeta de crédito están aprendiendo a comer.





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